La dépendence (o villa residenziale) si trova all’interno del parco, lungo la strada che conduce alla villa. Realizzata da Giuseppe Toeplitz per accogliere gli ospiti in un luogo accogliente ma discosto dalla villa padronale, ha ospitato personalità di spicco tra cui si ricordano Margherita Sarfatti e Matilde Serao, Mario Soldati, il Duca degli Abruzzi, alcuni membri delle famiglie Agnelli e Pirelli, l’aviatore Arturo Ferrarin, nonché Ignazy Pederesky, pianista e primo ministro di Polonia, che soggiornò presso i Toeplitz nel 1921.
L’edificio, costruito tra il 1920 e il 1926, è composto da un corpo rettangolare a due piani con un piccolo porticato, sul quale si innesta perpendicolarmente un’altra ala a due piani che termina con un semi-ottagono sul quale si apre una grande terrazza. È decorato con mattoni a vista nella parte bassa e intonaco bianco al primo piano, alla cui sommità, sotto il tetto, corre una fascia decorativa con motivi vegetali di colore oro su fondo blu. La porzione di destra presenta anche riquadri geometrici. La parte centrale è invece ornata da fasce marcapiano e cornici in mattoni. Archi, porte, una monofora, una bifora e una trifora si alternano ad altre aperture rettangolari.
Oggi è sede del Museo Etnoarcheologico Castiglioni, che con le sue collezioni permanenti fa rivivere la storia delle avvincenti spedizioni in Africa dei fratelli Angelo e Alfredo Castiglioni.
Nella zona dei giochi d’acqua, sorge un campo da tennis con annesso edificio chiamato “padiglione di riposo” (in foto), dalle cui tre arcate sulla parte frontale, ancora oggi presenti, si poteva ammirare, con effetto cannocchiale, uno scorcio suggestivo del parco.
Il deposito per gli attrezzi
A poca distanza dalla villa padronale, si incontra un edificio rettangolare preceduto da un portico sorretto da eleganti colonne, che era adibito, ai tempi dei Toeplitz, a edificio di servizio e deposito per gli attrezzi. Accanto, un campo di bocce.
Il canile
Difronte al deposito per gli attrezzi, un altro piccolo edificio dotato di due porte e alcune finestrelle tonde, fungeva da canile: Giuseppe amava molto i cani, e come ricorda il figlio Ludovico nel libro Il banchiere (Milano, edizioni Milano Nuova, 1963), egli possedeva due boxer che erano soliti accompagnarlo quando alla sera, di ritorno da Milano, girava con una lampadina per il parco a esaminarne i fiori.
Prima di varcare l’ingresso di viale Vico, sulla destra dello slargo, si trova l’edificio che fungeva da portineria (attualmente non accessibile), la cui costruzione risale, molto probabilmente, alla ristrutturazione del complesso voluta dai Toeplitz. L’elegante fabbricato è abbellito, sulla facciata su strada, da due aperture ad arco a tutto sesto in mattoni, l’una, chiusa da un elegante cancello in ferro con motivi floreali e che introduce a un picco atrio di ingresso quadrato; l’altra che inquadra una bifora. La parte bassa dell’edificio è decorata con pietra e mattoni, mentre la parte alta è dipinta con cornici e motivi floreali, ancora visibili benché rovinati, così come è ancora apprezzabile, nonostante il deterioramento, la graziosa decorazione delle pareti dell’atrio interno.
Sul lato della strada, l’edificio della portineria si sviluppa su un unico piano, mentre sul lato opposto, seguendo la pendenza del colle, si affaccia sulla vallata con un piano sottostante abbellito da un balcone e da alcune finestre. Questa zona del parco era probabilmente adibita ad ospitare un piccolo vivaio con delle serre, e attualmente è stata destinata dal Comune di Varese all’iniziativa degli ‘Orti Urbani”. Delle serre rimane oggi solo lo scheletro della struttura, ma la loro presenza nel parco non fa che confermare la passione per le piante e i fiori di entrambi i coniugi Toeplitz.
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