I COMPIANTI IN LOMBARDIA E PIEMONTE TRA QUATTRO E CINQUCENTO
a cura di Renzo Dionigi e Filippo Maria Ferro
I Compianti riuniscono le figure che piangono il corpo di Cristo deposto dalla Croce. Sette statue scolpite in legno o modellate in terracotta, fermate nel momento cruciale di una sacra rappresentazione: il ‘mistero’ della pietà. Questi complessi erano icone per i predicatori, ne rendevano concrete e incisive le parole, davano figura alle lacrime, ai moti dei sentimenti, alla contrizione e al lutto, sino al diapason del ‘pianto feroce’ della Maddalena. Si offrivano alla vista e alla devozione dei fedeli come autentici teatri del dolore. Per quasi due secoli vennero messi in scena nelle zone padane, in Lombardia e in Piemonte. I primi gruppi erano intagliati nel legno da maestri tardo gotici (Urbanino da Surso, il Maestro di Casalbeltrame e il Maestro di Santa Maria Maggiore), in forme di severa e silente maestà. Si crearono in seguito, sull’esempio degli emiliani Niccolò dell’Arca e Guido Mazzoni, figure in terracotta tese a comunicare la disperazione, il loro urlo. Violenza, passione e catarsi, la temperatura di una tragedia classica tradotta in piena adesione e comunicazione con i fedeli, espressa in un linguaggio che sa unire nobili e umili in un sentimento comune. Intagliatori e plasticatori si sfidano nel rendere la fisicità degli affetti e nel delineare i moti dei corpi e dei volti; operano in sinergia con i pittori e con gli incisori; tutte le statue sono dipinte al naturale. Esempi memorabili. A San Satiro a Milano, nel tempio del Rinascimento degli Sforza, Agostino De Fondulis traduce i modelli grafici sublimi di Andrea Mantegna e la forza scultorea di Donatello. Gli interpreti più autorevoli della scultura lombarda diffondono questi complessi figurativi, e li portano ai massimi livelli espressivi. I fratelli De Donati, Giovanni Angelo Del Maino, Andrea da Corbetta animano una stagione aurea. Quando subentra l’idea di trasferire i ‘luoghi santi’ nelle nostre contrade, ecco la scena che si dilata, il coro interviene nell’azione, si anima il ‘gran teatro montano’ di Varallo e dei Sacri Monti, dove la tenerezza di Gaudenzio Ferrari dialoga con i Del Maino e i da Corbetta e, in piena atmosfera della Riforma, Giovanni D’Enrico, fratello di Tanzio, sigilla un dialogo con la tradizione, viva ancora nei centri periferici e nelle valli bresciane.